3 ottobre 2010
Nell'accingermi a compiere un'operazione per lo più di critica, non posso non esimermi dal premettere alcune brevi considerazioni ad un lavoro che corre il rischio continuo di essere parziale, e di non basarsi su criteri oggettivi di giudizio e di confronto.
Se c'è un motivo che solitamente spinge a criticare il lavoro altrui è una certa generica insoddisfazione di fondo. Proprio così. L'insoddisfazione che regna nel mondo del lavoro come quella che si respira nell'accostarsi a certe manifestazioni artistiche contemporanee. L'impressione cioè che manchi sempre un qualcosa per far quadrare il cerchio, per rendere armonioso l'intero microcosmo della nostra realtà quotidiana. Di fronte a ciò che accade siamo insoddisfatti perché non viene saziata la nostra ricerca di equilibrio e perché di quello che vediamo molto ci sembra superficiale, approssimativo, immeritevole.
Lo stesso effetto è causato dalla vista di un quadro, dall'ascolto di una canzone, dalla lettura di un libro.
Ecco perché si critica. Per dare espressione alle sfumature di questo effetto, per interpretarlo e per comprenderlo a fondo, e in questo modo per capire meglio noi stessi.
Se Aristotele non a caso descriveva le forme d'arte come imitazioni della realtà (Poetica 1), si comprende come sulla base degli strumenti e delle modalità con cui tale imitazione viene praticata si possano distinguere varie tipologie di arte, criticabili sulla base di criteri che permettano di riconoscere il grado di analisi della realtà stessa e le tecniche imitative.
Ecco perché non possiamo dire semplicemente che la letteratura è una questione puramente emotiva e sentimentale, ma possiamo - e anzi dobbiamo - ricorrere agli strumenti di cui disponiamo per analizzarla, studiarla e scomporla nelle sue molteplici manifestazioni, per capirla e gustarla in profondità.
In una parola, per criticarla.
E - in sostanza - credo di avere anch'io il dovere di criticare. E il diritto di condividere alcune riflessioni con gli altri. Perché la critica non è solo il mio modo di essere e di approcciarmi alla realtà, ma è anche - ne sono ormai quasi del tutto convinto - l'unico tentativo rimasto al cervello di rendersi utile alla crescita dell'individuo. E della società.
Giovanni