19 dicembre
Ha ancora senso parlare di studio delle lingue antiche oggi? Ha ancora importanza dedicare tempo e risorse all'apprendimento del latino e del greco, delle lingue cosiddette "morte", in una scuola che ormai tende sempre più a dare rilievo alla tecnologia e all'informatica?
In occasione di una discussione in classe su questo argomento mi sono sentito portare dagli alunni molte motivazioni interessanti a difesa dello studio del latino. Motivazioni di vario genere: da una semplice constatazione della presenza del latino nei termini tecnici di altre discipline (e quindi un'utilità finalizzata allo studio di altre materie), ad una stretta connessione della lingua latina con la nostra cultura e con la nostra storia, dal senso di appartenenza ad una tradizione millenaria all'importanza di leggere direttamente i testi nella lingua in cui sono stati prodotti.
Personalmente credo che lo studio delle lingue antiche sia fondamentale se vogliamo conoscere più a fondo le culture che su quelle lingue hanno prodotto capolavori di letteratura ma anche documenti della vita quotidiana. Questo non vuol dire che non ci si possa accostare ad una cultura (e alla sua letteratura) anche senza sapere la lingua, ma sicuramente la conoscenza del codice - per parlare in termini di comunicazione - in cui il messaggio è stato trasmesso nel tempo può essere utile per comprendere più a fondo il significato di quel messaggio e tutte le sfumature in esso implicate (e implicite).
E' poi anche interessante notare che spesso le lingue antiche ci propongono un esercizio continuo di ipotesi e verifica, al fine di ottenere una traduzione plausibile: le molteplici possibilità che la struttura dei casi offre in tal senso ha paradossalmente come conseguenza lo sviluppo di un metodo "scientifico" che - come metodo appunto - credo possa essere utilizzato per qualsiasi disciplina. I benefici metodologici possono essere una motivazione non di poco conto per lo studio delle lingue antiche, perché ci permettono di collocarle sullo stesso livello di quelle discipline prettamente scientifiche spesso ritenute più utili e concrete.
Chi traduce dai testi antichi ha però, in realtà, anche la possibilità di compiere un passaggio ulteriore: non solo infatti di fronte a un testo latino devo chiedermi quali siano le possibilità di traduzione che mi si presentano, ma posso anche inserire qualcosa di più, qualcosa di personale, dare la mia lettura del testo, proporre una versione libera, adattata (e adatta) al mio contesto culturale. Tradendo forse l'originale, ma interpretandolo e - nell'atto di interpretarlo - compiendo un passo creativo. Ecco perché spesso non è sufficiente controllare sul dizionario i significati dei vocaboli o le "frasi fatte": non si tratta semplicemente di far quadrare i conti, quanto piuttosto di entrare personalmente nel testo per comprenderlo dall'interno e per poterlo così rendere in una lingua diversa.
In ultima analisi, quello che mi sembra il motivo principale dello studio delle lingue antiche è però di natura prettamente linguistica. E forse è l'unico motivo che giustifica in maniera soddisfacente il mantenimento di queste discipline nella scuola italiana, e in scuole anche diverse dal liceo classico (dove greco e latino sono materie fondamentali di indirizzo). Attraverso lo studio delle lingue antiche è possibile infatti comprendere meglio certe strutture linguistiche utili anche per capire le lingue moderne. Un valore metalinguistico che non deve essere trascurato, anche per conoscere più a fondo la nostra stessa lingua madre. Chiudo citando in merito a tale osservazione un testo di un collega di Pavia, per il quale lo studio della lingua dovrebbe essere giustificato solo dal punto di vista prettamente linguistico:
Se vogliamo salvare l'insegnamento delle lingue antiche nella scuola secondaria, dobbiamo opporre principalmente valide ragioni linguistiche.
Le lingue antiche sono un ottimo strumento per sviluppare competenze linguistiche e metalinguistiche e quindi si rivelano assai utili per apprendere in modo più consapevole le lingue moderne. La pratica quotidiana di insegnamento ginnasiale mette ogni giorno a contatto con studenti che non sanno riflettere neppure sui fenomeni più evidenti dell'italiano. [...]
Se tale è il grado di preparazione, il latino e il greco possono diventare il punto di partenza - e non più di arrivo - per favorire la crescita linguistica degli studenti, conducendoli anche a riflessioni metalinguistiche.
[Fabio Roscalla, Arche Megiste.
Per una didattica del greco antico,
Pisa, Edizioni ETS, 2009, p. 22]
Giovanni Frulla